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UNITÀ 1_CAPITOLO 1 Porti che si aprono, porti che si chiudono: gli imperi asiatici nel XVII secolo CHIAVE DI LETTURA Se osserviamo i rapporti tra continenti su scala globale, tra Cinquecento e Settecento, l’Asia è il nuovo baricentro degli scambi commerciali mondiali. Sono i porti asiatici, in particolar modo quelli di India e Cina, ad aprirsi per accogliere le navi europee desiderose di acquistare prodotti che vanno, nei paesi in cui saranno venduti, letteralmente a ruba: spezie, tè, tessuti pregiati e porcellane cinesi sono merci che nobilitano la posizione sociale di chi in Europa li possiede, almeno quanto i prodotti di consumo delle colonie americane, quali caffè, zucchero e cacao, che però, con il passare del tempo, diventeranno popolari anche presso le classi meno agiate. Vendendo le proprie merci i mercanti cinesi e indiani fanno incetta di argento e metalli preziosi di cui gli europei sono ricchi, perché possono sfruttare le miniere americane. La bilancia commerciale (cioè il saldo tra importazioni ed esportazioni) è a favore dell’Asia, vale a dire che l’Asia esporta in Europa più merci di quante ne importi. E non è l’unico vantaggio. L’India dei Moghul, la dinastia musulmana che si afferma nel corso del XVI secolo, è indubbiamente un contesto in cui la convivenza tra fedi religiose è possibile con più garanzie di quanto accada in Europa. Trovandosi a governare da sovrani islamici su una popolazione che in maggioranza è induista – e che al suo interno presenta anche molte altre minoranze – i Moghul puntano sulla coesistenza e sull’integrazione delle diverse dottrine. Ne restano stupiti anche i missionari gesuiti europei che visitano il paese con la speranza di operare conversioni. Nella stessa epoca gli abitanti dell’Europa si sono da poco lasciati alle spalle le guerre di religione, ma gli scontri fratricidi tra confessioni cristiane non sono del tutto cessati, se pensiamo al contesto della prima rivoluzione inglese o alla politica d’intolleranza di Luigi XIV in Francia. La Cina dei Q’ing è l’Impero più vasto del mondo e può godere di un apparato amministrativo dall’efficienza straordinaria. Forse per questa ragione, pur in stretto contatto commerciale con l’Occidente, si limita alla passività e non finanzia spedizioni sulle rotte oceaniche, accontentandosi del proprio impero di terra. Diverso è il caso del Giappone, i cui porti si chiudono alle navi straniere e il cui isolamento, voluto dalla dinastia dei Tokugawa, durerà fino alla metà del XIX secolo. I rapporti interni a una società fortemente gerarchizzata e la mentalità della popolazione giapponese, priva di contatti con mondi diversi, saranno così influenzati dagli ideali di obbedienza e sottomissione. 1.1 Convertire o tollerare. Gli europei nello specchio dell’Oriente Vestiti da gesuiti per entrare a corte dall’imperatore Il personaggio al centro della raffigurazione [M1], sotto il baldacchino, è Akbar I, imperatore dell’India tra il 1556 e il 1605. Akbar I appartiene alla dinastia islamica Moghul, che ha iniziato la conquista dell’India nel 1526. La lunga tunica gialla e il rosso turbante che indossa in questa miniatura dell’Akbarnāma (letteralmente il ‘libro di Akbar’, scritto dal suo ministro Abu al-Fadil) lo mettono in risalto rispetto agli altri protagonisti della scena. L’imperatore Akbar è intento a presiedere una strana assemblea. A renderla inusuale sono i due personaggi vestiti di nero, quelli seduti alla destra dell’imperatore. Chi sono costoro? Si tratta di due missionari dell’Ordine gesuitico*, serenamente circondati da numerosi teologi islamici, gli ulama*. L’Impero infatti aveva come religione ufficiale l’Islam, mentre la maggior parte della popolazione su cui i Moghul si erano imposti era induista. In ogni caso verrebbe spontaneo chiedersi cosa ci facciano, proprio lì, nel cuore dell’India settentrionale, Rodolfo Acquaviva e Francisco Henriques – questi i nomi dei due padri – mentre tutto intorno a loro ci sono solo dotti esponenti di una religione rivale. Rispondere a questi interrogativi permette di fare luce sui mutamenti che riguardano le complesse relazioni tra Occidente e Oriente in un periodo cruciale della storia moderna, quello che va dalla fine del XVI secolo alla metà del XVIII. I due Gesuiti sono giunti alla corte di Akbar nel 1580, a circa un secolo dalle prime esplorazioni portoghesi sulle coste dell’India, quelle che, iniziate con l’impresa di Vasco da Gama, avevano condotto la potenza marittima lusitana* a costituire una capillare rete di avamposti commerciali tra il subcontinente indiano e l’Impero cinese. Ordine gesuitico È l’Ordine religioso fondato da Ignazio di Loyola nel 1534. I Gesuiti si distinsero in tutta l’epoca moderna per lo zelo missionario che li portò ai quattro angoli del globo, dall’Estremo Oriente alle Americhe. In Europa si dedicavano alla pratica pedagogica e furono spesso istitutori o precettori delle famiglie aristocratiche. Ulama Sono dotti conoscitori della sharia, la legge coranica; rappresentano all’interno delle comunità musulmane gli intellettuali di riferimento. Potenza marittima lusitana Con l’aggettivo lusitano si indicano generalmente i portoghesi, dal nome dell’antica provincia imperiale romana. Dalla metà del Quattrocento in avanti, il Regno del Portogallo era stato la prima grande potenza navale europea e, dopo il trattato di Tordesillas del 1494 siglato con la Spagna, aveva ottenuto il diritto esclusivo a commerciare con l’Asia e con l’Africa. I portoghesi in India La presenza portoghese in India si era limitata all’insediamento sulle coste asiatiche e così anche l’intento evangelizzatore promosso dagli Ordini religiosi al servizio della monarchia iberica. Nel corso del Cinquecento, cioè nello stesso arco di tempo in cui l’impero commerciale portoghese conosceva la propria espansione, in India avevano però avuto luogo significativi cambiamenti politici. Nel Nord del subcontinente si era appunto imposta la dinastia Moghul, originaria dell’Asia centrale, che, nell’arco di pochi decenni, aveva proceduto all’unificazione sotto il proprio dominio di una buona parte dell’intero paese, fino a quel momento frammentato in numerosi principati spesso in lotta gli uni contro gli altri. Sotto i Moghul l’India avrebbe conosciuto una coesione politica assente da secoli. Ed era stato proprio Akbar a essere incuriosito dai rapporti che provenivano dai suoi fiduciari riguardo alla presenza europea sulle coste indiane e all’opera di evangelizzazione che i missionari conducevano in quei luoghi. Akbar, messosi in contatto con i portoghesi, aveva così deciso di invitare presso la propria corte una piccola delegazione di Gesuiti: ecco la ragione della presenza dei padri Rodolfo e Francisco nella miniatura del Libro di Akbar. Convivenza e tolleranza tra fedi religiose L’imperatore si mostrerà ospitale e accogliente nei confronti dei due padri missionari e dell’Ordine gesuitico in generale, come ci racconta padre Rodolfo in una lettera ai suoi superiori: M3 Rodolfo Acquaviva, Un gesuita alla corte di Akbar Queste parti onde stiamo è la propria India et è questo regno come reale, di tutta l’India, et como asilo concorren da tutte le parti et de moltas d’Asia. Et ja que la compagnia tiene cqui posto il piè con tanta benevolentia d’hun re si grande et de suoi figli, non pare que conveniente lasciare questa occasione prima di provare tutti i mezi que possiamo per commenzare conversione nella terra ferma dell’India, que quella che fin ora si è fatta è solamente nella costa del mare. [Ci troviamo proprio nel cuore dell’Impero indiano e cercano rifugio in questo luogo da tutte le parti molte genti d’Asia. E siccome la Compagnia gesuitica è stata accolta qui con tanta benevolenza da un sovrano così magnanimo e dai suoi figli ci sembra opportuno tentare ogni strada per cominciare a convertire nell’entroterra, quella conversione che fin’ora ha avuto successo solo sulle coste.] Dalla missiva di padre Rodolfo, oltre all’ottimismo sulle possibilità di conversione, traspare evidente la fiducia in un sovrano, sulle cui terre affluiscono genti da tutta l’Asia, che pare accettare con benevolenza l’opera di predicazione dei missionari cristiani. In realtà, i due Gesuiti falliranno completamente nel proprio intento evangelizzatore, illusi che l’invito del sovrano indiano fosse dettato da una sincera volontà di conoscere il messaggio cristiano. Akbar, invece, non era interessato al Cristianesimo in sé, ma alla possibilità di realizzare un modello politico basato sulla convivenza e tolleranza reciproca tra le varie fedi religiose. Nel 1575, cioè cinque anni prima dell’arrivo dei due Gesuiti nella capitale dell’India dei Moghul, Akbar aveva fatto erigere la “Casa delle preghiere”. È proprio questo il luogo in cui si svolge la scena raffigurata nella miniatura iniziale [M1]. Era lì che si tenevano dibattiti e discussioni, presiedute dall’imperatore in persona, tra gli esponenti delle varie correnti in cui è diviso l’Islam e tra questi e gli appartenenti alle numerose religioni diffuse nell’India dell’epoca. Che si fosse musulmani*, induisti*, jainisti*, zoroastriani*, buddhisti*, sikh* o cristiani, nessuno era escluso dalla “Casa delle preghiere”. Era questa l’idea di convivenza che Akbar intendeva promuovere nel suo impero: ed è questa magnanimità che la miniatura che accompagna il Libro di Akbar intende celebrare. Un confronto tra India ed Europa Per cogliere, in chiave comparativa, l’importanza di un simile approccio politico in campo religioso è necessario pensare che, mentre Akbar regnava in India, l’Europa era dilaniata dalle guerre di religione tra confessioni cristiane. Appena un quarto di secolo prima dell’approdo dei due missionari gesuiti in India, nel 1555, la pace di Augusta*, stabilendo il principio del “cuius regio, eius religio”, aveva di fatto imposto il credo religioso di chi deteneva il potere locale sulle popolazioni che abitavano regioni e principati del Sacro romano Impero. Se ci spostiamo a Parigi, appena tre anni prima della creazione della “Casa delle preghiere”, si consumava, ai danni degli ugonotti (così erano chiamati i calvinisti francesi), il massacro della notte di San Bartolomeo*, la scintilla che riaccendeva il mai sopito scontro tra protestanti e cattolici francesi. Non si può nemmeno dimenticare lo spirito di crociata, garantito dalla benedizione di papa Pio V, che aveva accompagnato la vittoria ottenuta a Lepanto nel 1571 da un’alleanza di Stati cristiani, capeggiati dalla Spagna dell’inflessibile cattolico Filippo II, contro la flotta ottomana. Nelle Americhe, infine, l’opera di evangelizzazione che aveva accompagnato la conquista e la spoliazione di quelle terre da parte degli europei era spesso passata attraverso il rituale del requerimiento*, un feroce strumento per imporre la fede cristiana con la forza delle armi. Per queste ragioni, la scena che si svolge alla corte di Akbar, quella con cui abbiamo aperto il capitolo, ci presenta un contesto politico e religioso molto diverso da quello europeo. In Europa la strada che avrebbe portato a delineare l’ideale della tolleranza sarebbe emersa, tra XVII e XVIII secolo, proprio dalle amare riflessioni sul cupo scenario di scontro tra cattolici e protestanti a cui abbiamo appena accennato. Nell’India di Akbar invece la convivenza tra culture diverse era una caratteristica strutturale di un impero che, all’inizio del Seicento, contava almeno cento milioni di sudditi: tanti quanti l’intera popolazione della frammentata Europa. Musulmani Iniziano a essere presenti comunità di seguaci dell’Islam in India sin dalle prime fasi dell’espansione musulmana attorno alla fine del VII secolo. Ciò avviene grazie agli scambi commerciali marittimi tra Penisola indiana e costa indiana occidentale. Induismo È la religione indiana più diffusa (ad oggi oltre 800 milioni di seguaci), nonché la più antica. Jainismo Religione che prende il nome dai seguaci di Mahavira, detto Jina. È un culto che presenta affinità con l’induismo per quanto riguarda la concezione del ciclo delle reincarnazioni. Zoroastrismo Antica religione dualista di origine persiana che crede che nel mondo si fronteggino due princìpi, quello del Bene e quello del Male. Prende il nome da un suo profeta-fondatore Zarathustra, grecizzato in Zoroastro. Buddhismo Religione ascetica fondata da Siddharta Gautama, detto il Buddha. Si origina inizialmente in India per poi diffondersi, con numerose varianti, in tutto il Sud-Est asiatico, negli Stati della catena himalaiana, in Cina e in Giappone. All’epoca dell’Impero Moghul è ormai quasi scomparso dall’India. Sikhismo Movimento religioso fondato in India nel XV secolo che predica il sincretismo fra elementi tradizionali della religione induista e l’impostazione monoteistica dell’Islam. Pace di Augusta È il trattato che nel 1555 pone fine alle guerre di religione tra i principi protestanti e l’imperatore Carlo V nell’area del Sacro romano Impero. Notte di San Bartolomeo È il massacro, avvenuto nella notte tra il 23 e il 24 agosto 1572, in cui perdono la vita, a Parigi e nelle province francesi, diverse migliaia di ugonotti. Requerimiento È la pratica attraverso cui i conquistadores spagnoli si impossessavano delle terre delle popolazioni indigene in America, imponendo loro al contempo l’adesione forzata al Cristianesimo. I propositi del Gran Moghul – questo il titolo con cui veniva designato l’imperatore indiano – andavano addirittura oltre: nel 1579, con un apposito decreto, si era assunto la responsabilità di provare a risolvere personalmente le più evidenti controversie religiose in nome di una tolleranza generalizzata. Anche per questo Akbar, contestualmente, aveva cancellato la tradizionale tassa per gli infedeli (jizya) che altrove le monarchie islamiche erano solite imporre ai sudditi non musulmani. La società indiana restava tuttavia un mosaico complesso e anche l’ambiziosa politica di conciliazione di Akbar faticava ad armonizzare le differenti tradizioni culturali e religiose presenti al suo interno. 1.2 Crocevia degli scambi. L’India Moghul tra Seicento e Settecento Un mosaico complesso Quando l’Impero Moghul nel 1526, con la conquista di Delhi da parte del condottiero militare Babur, pone le basi per la sua affermazione, la presenza della fede musulmana in India non era certo una novità, ma continuava a essere il credo di una robusta minoranza (nel momento di massima diffusione, forse, di un indiano su tre), radicata soprattutto nell’area settentrionale de
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